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Sui ponteggi della Cappella Brancacci

I due volti di Eva: compostezza in Masolino, drammaticità in Masaccio

Raffronto
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  • Club: Arezzo
  • Autore: Anna Pincelli
  • Ultima modifica: Maggio 2022

Lunedì 2 maggio il Club Arezzo ha effettuato una emozionante visita guidata e 'ravvicinata' allo straordinario ciclo di affreschi della Cappella Brancacci, all'interno della chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, in occasione della presenza dei ponteggi per il restauro.
Nell'ambito del tema narrativo, raffigurante le Storie della vita di San Pietro, commissionato dal ricco mercante Felice Brancacci - realizzato tra 1424 e 1428 da Masaccio e da Masolino, poi portato a termine tra 1481-83 da Filippino Lippi - particolare rilievo assumono le scene contrapposte della Tentazione di Adamo ed Eva, di Masolino, e della Cacciata dal Paradiso Terrestre, di Masaccio, in cui le antitetiche rappresentazioni di Eva permettono di cogliere, rispettivamente con suadente grazia e impressionante veridicità, la variegata complessità dell'universo femminile.

    Il suggerimento della Programme Director Annalisa Romanelli, storica dell'arte, di approfittare della presenza dei ponteggi di restauro per effettuare una visita 'ravvicinata' al ciclo di affreschi della Cappella Brancacci, in Santa Maria del Carmine a Firenze, luogo che il pittore neoclassico Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867) definì "vera culla della pittura", è stato accolto con entusiasmo dalla Presidente e dalle socie del Club Arezzo.
    L'ausilio dei ponteggi, realizzati per eseguire interventi di stabilizzazione di alcuni fenomeni di deterioramento del ciclo pittorico - secondo un programma di ricerca e di valorizzazione messo a punto da Comune di Firenze (la cappella fa parte dei Musei civici fiorentini), Soprintendenza, Cnr-Ispc di Firenze, Opificio delle Pietre Dure e Fondazione statunitense Friends of Florence, in compartecipazione con Jay Pritzker Foundation – permette agevolmente, anche al pubblico e non solo agli addetti ai lavori, di poter ammirare per la prima volta a distanza ravvicinata i capolavori pittorici cogliendone il prezioso e minuzioso dettaglio, di "guardare negli occhi" i protagonisti degli affreschi, godendo dei dipinti in maniera del tutto inedita e irripetibile.
    Realizzato tra 1424 e 1428 da Masolino da Panicale (Tommaso di Cristoforo Fini: Panicale, 1383 - Firenze, 1440),  già affermato maestro di raffinata cultura tardo-gotica, e dal giovane e innovativo Masaccio (Tommaso di Mone Cassai: Castel San Giovanni 1401 - Roma, 1428) - ritratti entrambi tra i personaggi del popolo nella scena Resurrezione del figlio di Teofilo -  il complesso ciclo di affreschi, rimasto incompiuto per la partenza di Masolino, per la morte di Masaccio e per l'esilio inflitto al committente antimediceo, fu infine portato a termine, negli anni 1481-1483, da Filippino Lippi (Prato, 1457 - Firenze, 1504), con un intervento sobrio e rispettoso dei predecessori.

    Il ciclo decorativo, raffigurante Storie della vita di San Pietro, fu commissionato, per la trecentesca cappella di famiglia collocata in testata al transetto della chiesa dei Carmelitani, dal ricco mercante Felice Brancacci, potente esponente della classe dominante fiorentina, di rientro da un'ambasceria al Cairo nel 1423: la centralità della figura di Pietro allude a quella della Chiesa, prosecutrice dell'opera di salvezza dell'umanità iniziata da Cristo, rendendo anche onore alla memoria dell'omonimo capostipite della famiglia Brancacci.  
    All'interno del ciclo, sviluppato in dodici scene su due registri sovrapposti, la presenza in posizione speculare dei due episodi tratti dalla Genesi, riguardanti i Progenitori, può essere letta come la raffigurazione della caduta nel peccato dell'uomo che può trovar la salvezza nella Chiesa, affidata da Gesù proprio a Pietro, ed assume un preciso significato teologico: il peccato originale è l'antefatto all'opera di redenzione di Cristo, poi proseguita da Pietro, primo pontefice e quindi personificazione della Chiesa: Peccato originale (opera di Masolino) e Cacciata dal Paradiso (di Masaccio) come premessa, dunque, alla Redenzione.
Nell'omogeneità stilistica che caratterizza nell'insieme la cappella, se pur frutto di singoli maestri, colpisce il contrasto (in contrapposizione spaziale e formale), nelle due rappresentazioni, tra gli atteggiamenti e i volti dei protagonisti, in particolare di Eva.
    Nella Tentazione di Masolino domina l'imperturbabile compostezza di entrambe le figure, la grazia pacata dei gesti misurati; la nudità quasi inconsapevole dei corpi inseriti in una aulica scena cortese, il cui sfondo, ricco di fogliami ed erbe, ne risalta, grazie alla luce avvolgente, la sensuale plasticità (quasi androgina quella di Eva, in adesione ad una canone di bellezza classicista) lasciando le figure come sospese nello spazio. Eva, dal corpo chiaro e levigato e dal seno appena accennato, allude all'età dell'innocenza nella quale la differenza di genere non aveva ancora assunto importanza: il volto aggraziato è perfettamente ovale, incorniciato dai ricci capelli biondi raccolti in un'elegante treccia; gli occhi sembrano guardare lontano ad una realtà sospesa e fuori dal tempo, mentre, sovrastati dall'insinuante testolina femminile del demonio in forma di serpente, sta per porgere il frutto proibito ad Adamo in procinto di accettarlo.
    Nel capolavoro di Masaccio, che opera invece una vera e propria frattura rispetto al filone tardo gotico, i personaggi sono ritratti in un atteggiamento di cupa disperazione, come appesantiti nella fortissima plasticità dei corpi dalle volumetrie massicce, quasi sgraziate, modellati realisticamente con l'uso del chiaroscuro, saldamente ancorati sul terreno in un paesaggio irreale ridotto solamente a roccia e cielo, sotto l'angelo in scorcio che, piombando dall'alto, con volontà perentoria li espelle rivelando un'intensità fino ad allora inedita. I gesti sono eloquenti: uscendo dalla Porta del Paradiso, entro cui ancora si sofferma il piede di Adamo, inondati dalla violenta illuminazione, mentre questi si copre con le mani il volto in un senso di sconforto e di colpa, Eva, che nelle fattezze della Venus pudica (di cui è però stravolta ogni compostezza reinterpretandola in senso drammatico) si copre con vergogna la nudità, piange urlando a bocca spalancata con gli occhi contratti nel pianto ed una intensa espressione sul volto sfigurato da un dolore infinito che rappresenta uno dei vertici più alti e potenti della pittura, senza che alcun elemento del contesto mitighi la forte drammaticità della scena.

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