Nel quadro del Progetto nazionale "La città che vorrei-Reinventare la città a misura di donna" il Club ha organizzato, grazie all'eccellente impegno delle referenti del Progetto Maria Ledda e Carla Sanjust, il convegno "Economia Circolare: quale ruolo, quali problemi, quale futuro". Realizzato in collaborazione col club Unesco di Cagliari, l'evento si è svolto nell'aula magna della Facoltà di Ingegneria del locale Ateneo con la partnership dell'Ordine degli Ingegneri di Cagliari, che ha accordato due crediti formativi ai partecipanti. Alla presentazione del Progetto da parte della presidente del Club sono seguite tre relazioni, tutte di altissimo livello ma nel contempo agili, tenute rispettivamente dall'assessore all'ambiente del Comune di Cagliari e da due docenti universitari, il prof.R. Cossu e la prof. M.Ferrante, e introdotte dal prof.A. Muntoni in veste di moderatore.
Il club di Cagliari ha voluto dedicare il Progetto nazionale "La città che vorrei" al tema dell'economia circolare, notoriamente il modello di gestione dei rifiuti più moderno ed ecosostenibile, in opposizione ad un approccio lineare improntato al sistema "produci, usa e getta", devastante per un pianeta abitato da oltre sette miliardi di persone.
I centri urbani rappresentano lo snodo più critico, anche se non l'unico, dei problemi legati alla gestione dei rifiuti, per il semplice fatto che in essi è concentrato il 75% della popolazione mondiale.
In altre parole, nessuna città può essere attrattiva, accogliente, sicura ed ecosostenibile se ignora il problema dei suoi rifiuti.
Come ha ricordato il prof. Raffaello Cossu, emerito di ingegneria sanitaria-ambientale dell'Università di Padova e scienziato di fama mondiale nel settore, la produzione di rifiuti è ineludibile e perfino necessaria, ma è altrettanto necessario occuparsi del loro "destino". Limitarsi ad accumulare i rifiuti, come avviene ancora nei Paesi in via di sviluppo (purtroppo anche per responsabilità dei Paesi più ricchi, che esportano in quelli poveri i rifiuti che non riescono a smaltire al proprio interno), comporta rischi incalcolabili per la salute dell'intero pianeta.
Occorre invece trattare i rifiuti, lavorarli, riciclarli, riutilizzarli.
Non esiste in questo ambito un'unica metodica, che funzioni sempre e dovunque: al contrario il trattamento ottimale richiede il ricorso a metodi integrati, senza peraltro dimenticare che in natura nulla si distrugge e che pertanto non è possibile pretendere la "scomparsa" dei rifiuti. In altre parole, il ciclo dell'economia circolare è aperto: qualunque trattamento, anche il riciclo ripetuto, implica di norma il formarsi di residui contaminanti, che avranno come destinazione finale il deposito, vale a dire i cc.dd. sink: le discariche sostenibili, oggi realizzate con tecnologie all'avanguardia che consentono impermeabilizzazioni perfette, ma anche tutte le infrastrutture realizzate, in parte, impiegando i residui (si pensi alle strade e a tutti i manufatti ottenuti utilizzando i detriti provenienti da demolizioni edili).
La questione centrale è che nella piramide rovesciata dei sistemi di trattamento, il deposito in discarica o nei sink deve rappresentare la modalità residuale, che riguarda ciò che non può essere affatto, o non può essere più, riciclato. Le forme primarie di trattamento devono essere altre, da selezionare - come detto - in rapporto alle concrete situazioni di fatto: il trattamento termico attraverso gli inceneritori, il riciclo e il riutilizzo.
I primi presentano l'enorme vantaggio di ridurre il volume dei rifiuti, inoltre producendo calore possono costituire fonte di energia. Sono irrinunciabili nei contesti maggiormente abitati. A Tokio funzionano 40 inceneritori e anche a Napoli il problema dell'immondezza accumulata nelle strade è stato risolto con la realizzazione dell'inceneritore di Acerra. Tuttavia, si deve bruciare solo ciò che non può essere recuperato o riciclato o riutilizzato.
Per questo è determinante la raccolta differenziata dei rifiuti, che consente di limitare al massimo l'afflusso di immondezza nelle discariche (che consumano suolo e, se non ecosostenibili, lo inquinano) attraverso la selezione "a monte" di ciò che può essere riutilizzato, oppure riciclato mediante l'immissione in nuovi processi produttivi, e trasformato in manufatti nuovi.
Come rilevato dal prof. Cossu, è questo sistema che consente fin da ora ad un Paese come l'Italia, privo di materie prime e fortemente dipendente per l'approvvigionamento da governi stranieri (spesso massimamente instabili), di procurarsi in autonomia quegli elementi chimici, come i metalli rari, oggi indispensabili all'industria per realizzare i semiconduttori e tutta la componentistica elettronica ormai presenti in quasi tutti i beni di consumo quotidiano, dalla automobile agli elettrodomestici, ai cellulari.
Occorre quindi differenziare la raccolta, ma è anche necessario ridurre, minimizzare la produzione di rifiuti, pur nella consapevolezza che è chimerico il risultato del Rifiuto Zero.
Minimizzazione e prevenzione: questi i punti di partenza della relazione della prof. Margherita Ferrante, Ordinario di Igiene presso l'Università di Catania e componente del Comitato Salute e Rifiuti istituito presso il Ministero della Salute. Occorre, in altre parole, ridurre la produzione di rifiuti attraverso uno stile di vita sano, che sul piano alimentare prediliga la stagionalità e i cibi non preconfezionati, e per il resto incrementi il prolungato utilizzo dei beni già disponibili (dal vestiario agli elettrodomestici). In particolare, è necessario ridurre il consumo di plastiche, il cui riciclo è possibile solo per percentuali limitate di prodotto e comunque tende a liberare, moltiplicandone la diffusione, microplastiche e contaminanti. A ciò va aggiunto, come già accennato, che i Paesi sviluppati tendono a trasferire le plastiche non riciclabili nei Paesi poveri, dove vengono accumulate o disperse. Si spiega così, in gran parte, la presenza di microplastiche in quantitativi ormai insostenibili nei mari, negli oceani e nelle profondità del suolo, e conseguentemente negli esseri viventi che li abitano e che fanno parte integrante della nostra catena alimentare. Il fenomeno è globale, nessuna area del pianeta ne è esente, con tutto ciò che ne consegue in termini di danni per la salute di persone, animali e vegetali.
Ne deriva, secondo la prof. Ferrante, che la soluzione del problema di gestione ecosostenibile dei rifiuti non può prescindere da una visione globale del tema e, alla base, richiede un approccio culturale diverso da quello in atto: una trasformazione di mentalità e abitudini che, con ogni evidenza, interpella fortemente la politica (mediante iniziative di contrasto al massiccio uso di plastica, e di sostegno a pratiche virtuose, come l'utilizzo, in luogo della plastica, di materiali riciclabili integralmente e per un numero infinito di volte, come il vetro), ma coinvolge anche l'industria e la scuola.
Dato per scontato che non tutti i rifiuti possono essere riciclati o riutilizzati, la prof. Ferrante si è soffermata sul corposo studio da lei condotto in collaborazione con altri scienziati sui lavori (svariate migliaia) concernenti gli effetti dei residui dell'incenerimento sulla salute delle popolazioni che vivono nelle zone circostanti gli impianti di trattamento termico dei rifiuti. Premesso che per essere attendibili tali studi debbono rispondere a precisi standard di indagine sul piano tossicologico ed epidemiologico, la relatrice ha rilevato che solo pochi dei lavori esaminati hanno evidenziato la presenza di patologie riferibili all'incenerimento dei rifiuti nella popolazione residente presso gli impianti, e che comunque tali studi si riferiscono a strutture di trattamento termico ormai obsolete. D'altronde, a causa della prolungata latenza delle malattie connesse all'esposizione ai residui degli inceneritori e della necessità di dati statistici complessi sulla natura e durata dell'esposizione a rischio, le indagini in questa materia richiedono tempi lunghi, e i relativi risultati arrivano quando ormai la tecnologia ha sviluppato una impiantistica diversa e più avanzata di quella presa in considerazione dallo studio.
Di estremo interesse anche la relazione dell'assessore all'Ambiente del Comune di Cagliari ing. Alessandro Guarracino.
Dati alla mano, l'assessore ha dimostrato che sul piano della raccolta e del trattamento dei rifiuti, Cagliari – in linea con l'intera regione sarda – rappresenta una realtà estremamente virtuosa, che le statistiche collocano in questo ambito alla pari delle città del Nord Europa, come noto tradizionalmente molto attente alle problematiche ambientali.
Grazie al sistema di raccolta differenziata, in atto dapprima con la metodica dei cassonetti nelle strade e dal 2018 con il ritiro "porta a porta", la città di Cagliari seleziona ormai quasi l'80% dei rifiuti che produce e ha ridotto in particolare la quantità di rifiuto secco (o indifferenziato), provvedendo in massima parte a incenerire tale limitata frazione nel vicino impianto di trattamento termico di Macchiareddu e a sversare in discarica solamente ciò che non può essere bruciato o riciclato o recuperato. Delle frazioni riciclabili, solo la carta è trattata in Sardegna, mentre vetro, lattine e plastica vengono esportate nella penisola.
Ha precisato l'assessore che a causa della conformazione della città di Cagliari, che si estende in gran parte in collina e vanta un centro storico caratterizzato da vie molto strette, sono stati approntati sistemi differenziati di raccolta porta a porta e ultimamente è entrata in funzione la c.d. corriera ecologica, un servizio motorizzato per il ritiro dei rifiuti prodotti da strutture di ristorazione in orari predeterminati, finalizzato ad evitare lo stazionamento prolungato, nelle vie cittadine, dei mastelli pieni di rifiuti.
Funzionano inoltre tre ecocentri (ne sono stati programmati altri due), un sistema di cassonetti per il deposito di vestiario e calzature, un sistema di ritiro porta a porta degli oli esausti anche di produzione domestica.
Inoltre di recente è stato introdotto un sistema premiale di tariffa puntuale (la c.d. Tarip) che prevede la riduzione del tributo comunale in relazione al numero di sversamenti mensili di frazione secca eseguiti dai cittadini in un anno, che rappresenta un incentivo efficace alla selezione più accurata dei rifiuti da parte degli utenti.
Funziona anche un Centro del riuso destinato a reintrodurre nel mercato oggetti dismessi ma ancora appetibili, ed è in programma la realizzazione di un altro Centro del riuso, concepito come luogo di aggregazione sociale e di educazione alla raccolta e alla gestione razionale e ecosostenibile.
Non mancano tuttavia i problemi, rappresentati da una percentuale ancora molto alta di abbandono sul suolo pubblico di rifiuti, dovuto in parte al massiccio movimento di persone che provengono dall'hinterland e di turisti, ma in grande parte anche a comportamenti di cittadini evasori della Tarip o comunque irrispettosi delle regole. Comportamenti estremamente costosi, per la collettività, dato che la rimozione dei rifiuti abbandonati costa ad oggi al Comune ben 100.000 euro al mese.
Insomma, l'economia circolare ha i suoi costi, peraltro in parte connessi a condotte umane non virtuose, e comunque ineludibili e in prospettiva ampiamente compensati dai benefici, anche di tipo economico.
Infatti è impensabile – ed è questo l'insegnamento conclusivo del convegno - che sviluppo e ricchezza possano stabilmente prendere corpo all'interno di una comunità umana malata e sofferente perché inserita in un contesto ambientale non sano.
La recente pandemia ce lo ha dimostrato con drammatica efficacia.
Maria Alessandra Pelagatti - Presidente SI Club Cagliari