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Le socie scrivono: Doris Duranti

Meccanismi di fuga: fascino e biografia dell'attrice livornese

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Nell'ambito del progetto "8 marzo e...dintorni 2023", oggi pubblichiamo il quinto  ritratto di figura femminile livornese raccontato dalla socia Carla Dente: Doris Duranti attrice dei telefoni bianchi.

Sembra che Livorno abbia dato più di una attrice importante al "cinema dei telefoni bianchi", una stagione artistica che va dal 1936 al 1943, che produce film caratterizzati da ambientazioni sofisticate e classi socialmente 'bene' da molti punti di vista, ambientazioni immediatamente riconoscibili per la presenza di telefoni bianchi, oggetti di arredamento moderni e un po' kitsch nei materiali (lacche, intarsi, pelli improbabili come quelle di zebra), razionalista nelle forme, a la Frank Capra, per rimanere nel mondo del Cinema. 

Doris Duranti, classe 1917, nasce da famiglia ebrea livornese, i Durante, e cresce una ragazza dalla bellezza aggressiva che molti commentatori definiscono 'esotica'. Il fisico era quello adatto a parti di donna fatale, dunque, spesso necessariamente sessualmente trasgressiva, un modulo comportamentale che si trovò a replicare anche nella vita. Scappò di casa - prima fuga - a 15 o 16 anni e facendo le sue prove nel cinema fu costretta per 'convenienza' a modificare il suo nome su richiesta della famiglia. Alcune sue interpretazioni si ricordano più di altre; "Cavalleria Rusticana" (1939), tratto da una novella di Verga ma soprattutto storia trasposta in musica da Mascagni, un altro livornese, divenne diva di regime con il film "Giarabub", con "La contessa di Castiglione", una trasposizione filmica di un romanzo di Tolstoj, "Resurrezione" (1944). La Duranti finì poi la sua carriera con un film di Giuseppe Patroni Griffi negli anni '50. 
 

 Il 1942 è stato un anno decisivo per lei, come attrice e come donna: recitò in un film importante, "Carmela" di Flavio Calzavara, da un racconto di De Amicis, vi esibì il seno nudo mettendosi in concorrenza, e inevitabilmente in polemica accesa, con Clara Calamai, sua eterna rivale che aveva fatto lo stesso poco prima nel famoso film 'La cena delle beffe'. Si trattò comunque di una delle sue migliori interpretazioni. Sul set di "Carmela" Doris incontrò Alessandro Pavolini, ministro del Minculpop, ex giornalista, un gerarca sposato e con tre figli, con cui cominciò una relazione travolgente, prima disapprovata da Mussolini, forse per questioni razziali, relazione poi accettata. A Roma Doris frequentava il bel mondo e quello della politica: infatti ebbe rapporti sia a Roma, sia a Livorno, con la famiglia Ciano, per esempio. Nel 1943 recitò nel film "Calafuria", un'altra pregevole prova di attrice in un ulteriore film di Calzavara che parlava della sua città di origine. 
 Il 25 luglio '43 è un momento di crisi, per la politica italiana e in particolare per il Ministro della Cultura popolare, che si rifugia prima nell'ambasciata tedesca di Roma, saluta l'amante per telefono (bianco?), e poi ripara in Germania, da cui torna nel mese di settembre, più fanatico e violento che mai. E' lui, per esempio, che trattenne la domanda di grazia di Galeazzo Ciano, peraltro amico suo e di Doris, per paura che Mussolini la firmasse (1). E' lecito qui intravedere una sorta di seconda 'fuga' per Doris Duranti. Se seguiamo il pensiero di Erich Fromm (2), che si occupa del significato della libertà psicologica individuale nei sistemi autoritari e nelle democrazie, possiamo cercare di interpretare il percorso di vita di Doris alla luce di tante fughe successive dopo lo strappo dalla sua famiglia, quel legame che comunque dava anche sicurezza, che aveva lasciato certamente il posto ad una maggiore libertà, ma che portava anche inevitabilmente il connotato dell'insicurezza dell'individuo isolato. Nonostante l'apparenza di una sintonia trovata e praticata con il mondo esterno, quello del Cinema, il rapporto con Pavolini, che in quel contesto si creò, sembrò essere il risultato della ricerca di nuovi legami secondari generatori di sicurezze (contro la solitudine e l'insignificanza individuale) in sostituzione dei legami primari perduti. Il timore dell'insignificanza è spesso, secondo Fromm, una spinta inconscia verso l'adesione all'autoritarismo, che spinge l'individuo a diventare parte integrante di un potere ritenuto forte, che affascina per il suo alone di gloria. Un processo simbiotico tra un 'io' individuale e un altro 'io', ma soprattutto una immedesimazione con un potere esterno a cui appoggiarsi. Questa sembra essere la struttura di carattere che rende facile l'adesione individuale a regimi autoritari: l'ideologia nazista, per esempio, ha esercitato il suo maggior fascino fondandosi su questo meccanismo psicologico. Il modulo sembra riproporsi anche per Doris Duranti in altri momenti della sua vita. Intanto, alla caduta del regime, Pavolini riesce a far fuggire la sua amante in Svizzera prima di essere ucciso e di finire poi a Piazzale Loreto accanto a Mussolini. In Svizzera Doris si trovò con la Ferida e Valenti, altri divi di regime, vi fu incarcerata e tentò prima il suicidio (altra fuga, questa volta da un mondo difficile?), poi sposò l'11-8-1945 un poliziotto svizzero, Luciano Pagani, (aiuto nell'autorità!) al fine di diventare cittadina svizzera. Dopo un anno ottenne il divorzio e si trasferì nell'America del Sud. Tornò in Italia qualche volta negli anni '50 per recitare piccole parti in film di trascurabile importanza. L'Italia libera del dopoguerra non rassicurava Doris, che cercò rifugio di nuovo verso una sorta di schiavitù in grado di sostituire di nuovo i vincoli primari ai quali aveva già rinunciato. 'Nosce te ipsum' sembra essere una massima latina che con Doris avrebbe potuto avere maggior fortuna. E che può succedere, dunque? In Italia la Duranti conobbe Mario Ferretti, famoso giornalista sportivo di destra, che per lei lasciò la famiglia (anche questo modulo comportamentale non nuovo) ed emigrò con lui definitivamente a Santo Domingo, uno stato ormai da decenni sotto la dittatura di Trujillo. Di nuovo insicurezza psicologica peraltro in condizione di libertà dai legami, e successivo, necessario, rifugio nell'identificazione con un altro autoritarismo che l'aiuta a dimenticare il proprio io come entità separata dal contesto! Di nuovo il modello che Fromm ha descritto in Fuga dalla Libertà.

Con Ferretti aprì un ristorante, che poi lei condusse da sola fino alla morte, nel 1995, anche dopo che il rapporto con l'amante si era interrotto. Doris scrisse in vecchiaia un libro di memorie (Il romanzo della mia vita, 1987) da cui fu tratto un film per la TV da Alfredo Giannetti "Doris, una diva del regime" che probabilmente può ancora essere visto su qualche piattaforma on line. 

1.  Si veda il carteggio Petacci-Mussolini composto da 318 lettere acquisito a suo tempo dall'Archivio di Stato.

2. Erich Fromm 1941, Escape from Freedom (New York: Holt, Rinehart and Winston Inc.), 1982, Fuga dalla libertà, trad. di Cesare Mannucci (Roma: Edizioni di Comunità)


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