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Un'altra serata dedicata all'arte

La passione per il sociale in alcuni artisti del nostro tempo

Un'altra
  • Club: Lodi
  • Autore: Cristina Zanasi
  • Ultima modifica: Ottobre 2021

Dopo l'incontro dedicato allo "sguardo sull'arte", le socie del Club Lodi si sono riunite per seguire un'altra interessante relazione sui rapporti fra arte contemporanea e socialità, svolta dalla docente di Storia dell'Arte Marta Michelacci.

La relatrice ha accompagnato le socie in un excursus sulla funzione sociale dell'arte, partendo dall'800 -secolo in cui si rifiuta la teoria dell'arte fine a se stessa e si riafferma la necessità di esaltarne la valenza sociale attraverso una nuova attenzione alle classi diseredate, agli "ultimi"- sino ad arrivare ai giorni nostri: l'arte contemporanea è provocatoria perché ha il compito di "risvegliarci al nostro presente".

Nel corso di questo viaggio nel tempo, la dottoressa Michelacci si è soffermata su alcune opere particolarmente significative ed emblematiche nella nuova sensibilità verso il sociale che ha caratterizzato il diciannovesimo secolo: "Gli spaccapietre" di Gustave Courbet, opera realizzata nel 1849, un anno dopo la pubblicazione del Manifesto di Marx; "Il vagone di terza classe" di Honoré Daumier, del 1864; "I mangiatori di Patate" di Vincent van Gogh, del 1885.

La relatrice, dopo aver accennato alle avanguardie del 900, ha proposto una carrellata di artisti contemporanei di tutto il mondo che, attraverso le più varie forme artistiche, puntano l'attenzione sulle persone fragili, disagiate, emarginate e sul dramma delle migrazioni.

Queste le opere sulle quali si è soffermata:

Dello scultore britannico Antony Gormley, la scultura Iron Baby del  1999: un neonato di ferro in posizione fetale che rappresenta tutti noi, fragili e precarie creature alla ricerca di conforto e sicurezza;

Dell'artista concettuale coreana Kimsooja (www.kimsooja.com),  le opere Bòttari Truck, (che rimanda al concetto di nomadismo e di migrazione globale) ; Needle Woman e Baggar Woman , che allude ai temi della sofferenza femminile.

Del cinese Ai Weiwei, designer, architetto e regista, l'installazione "Life Jackets", del 2016, per la quale l'artista ha utilizzato  14.000 giubbotti di salvataggio raccolti sulle spiagge di Lesbo e già utilizzati dai rifugiati, applicandoli  alle colonne della Konzerthaus di Berlino.

Del danese Olafur Eliasson, il workshop "Green Light", del 2017, una sorta di laboratorio permanente sul tema delle migrazioni;

Di Banksy, la nave "Louise Michel", una nave allestita per il soccorso in mare dei migranti, decorata e finanziata dall'artista inglese.

Per ognuna delle opere esaminate, la relatrice ha fornito molteplici spunti di riflessione e stimoli di approfondimento.

Marta Michelacci, dopo la laurea DAMS a Bologna, ha conseguito il dottorato di ricerca in Studio e valorizzazione del patrimonio storico, artistico, architettonico e ambientale all'Università di Genova. E' stata referente del progetto europeo "ARTS & Culture Reshaping Urban Life". Si occupa di arte contemporanea e di arte sacra. Scrive su "Arte Cristiana" ed è stata curatrice delle mostre "Stills of peace" ad Atri (TE) e "Present & Future. Just across the street" al MACRO di Roma.

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