“Sala d'attesa” è una riflessione profonda magistralmente presentata dal regista del Teatro Libero Salvatore Amato, che ha saputo tessere le fila di un dramma comune a molte donne: la violenza domestica.
Tutto comincia in una sala d'attesa dove 5 signore di diverse età si ritrovano, inconsapevoli, senza sapere nemmeno esattamente dove si trovino. Qualcuna vuole andare via, piange, si dispera ma, sono lì, non possono andare da nessuna parte ma solo aspettare. E l'attesa svela il dramma di ciascuna di loro, storie celate agli occhi di tutti ma che le donne, proprio in quella sala d'attesa, riescono finalmente a raccontare per intero. Senza tralasciare i dettagli, maltrattamenti fisici, verbali, tradimenti. Donne che avevano sopportato tutto, fino ad un certo momento. Quel momento in cui decidono di ribellarsi e tutto accade ma pagheranno cara la ribellione. Ma non se ne pentono, anzi l'unico rimpianto, non essersi ribellate prima.
E il finale? ....le donne scoprono che ognuna di loro è morta e sono in quel limbo aspettando il momento per andare "oltre".
Bravo il regista che ha dimostrato la sensibilità e la capacità di rendere sul palcoscenico il dramma interiore di quelle donne. E brave le attrici, dalle quali si percepiva che avessero fatto propria la loro parte, perfettamente immedesimate nel dramma umano che stavano mettendo in scena. Una vita vissuta nel limbo non è vita, è solo un continuo convincersi di essere sbagliate, giustificando le violenze. Salvarsi, quella è l'unica cosa importante, denunciare il proprio carnefice e rinascere. E per citare un passaggio della storia: “ Voglio credere che la prossima bambina che nascerà insegnerà a sua mamma che un amore puro è possibile. E voglio credere che il prossimo bambino che diventerà uomo, tratterà sua mamma e tutte le donne con rispetto”.