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LA CITTÀ È DI TUTTI?

Interclub tra i Club Iseo e Salo' Alto Garda Bresciano

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  • Autore: Cristina Bagnasco
  • Ultima modifica: Gennaio 2020

Una serata di grande interesse, insieme i due club, affrontando il tema dell’Obiettivo 11 Agenda ONU : rendere Inclusivi gli insediamenti umani.  Sono intervenute Ivana Passamani, nostra socia, ed Olivia Longo, entrambe docenti alla Fac. di Architettura di Brescia, nell’ Interclub svoltosi lo scorso 9 gennaio.

In forma di conversazione a due, le relatrici hanno presentato un progetto innovativo che prevede l’installazione di microarchitetture atte a soddisfare le esigenze della popolazione con diversi livelli di disabilità.

In allegato, qui a destra, il Notiziario del Club con immagini e racconto dettagliato della serata.

“LA CITTA’ E’ DI TUTTI?”   Dopo gli inni e la lettura delle finalità del Soroptimist da parte di Angela Cannizzaro, Eleonora dà il benvenuto a tutti i presenti e ringrazia la presidente del Club Salò per avere prontamente accolto l’invito all’interclub. Angela ringrazia a sua volta, anche a nome delle socie del suo club: “Se è̀ sempre un piacere incontrare il club padrino, cui siamo legate da un particolare rapporto di affetto e simpatia, a maggior ragione lo è questa volta, data l’attualità dell’argomento proposto".  Angela sottolinea l’importanza della sinergia fra club ed esorta a vivere il club nello spirito della collaborazione reciproca e dell’apertura alla società.

Eleonora riprende la parola per introdurre il tema della serata, legato all’obiettivo 11 dell’Agenda Onu 2030 “Rendere inclusivi gli insediamenti umani”, che pone l’attenzione sulla città e i suoi problemi, dal rispetto dell’ambiente all’inclusione sociale, dall’abbattimento delle barriere architettoniche al risparmio energetico.

“Il Soroptimist si occupa della emancipazione delle donne e delle loro fragilità, ma non trascura di volgere uno sguardo attento all’ambiente di vita e di lavoro. Il tema di questa serata, che potrebbe sembrare distante dalla mission del Soroptimist, in realtà non lo è, poiché le donne che cerchiamo di aiutare spesso vivono in ambienti degradati, dove non esistono servizi di base né sicurezza né sostenibilità.

Chi nasce nella bellezza sente di valere. Chi nasce nel degrado sente continuamente negato il proprio valore. Qual è lo spazio urbano che meglio parla di democrazia?

L’ONU nell’obbiettivo 11 ricorda che oltre metà della popolazione mondiale vive in grandi conurbazioni. Traffico congestionato, mancanza di servizi, scarsità di alloggi, infrastrutture inadeguate sono alcuni dei problemi di chi vive negli spazi urbani. Riqualificare le periferie e le zone verdi, migliorare le città e i luoghi di lavoro, rispettare l’ambiente naturale sono segnali che possono trasmettere l’idea di bellezza, inclusione, sicurezza e sostenibilità.

Un modello positivo di città in via di realizzazione è la smart city, dove i cittadini vivono bene, perché sono coinvolti sia nelle decisioni amministrative sia nella difesa ambientale, salvaguardando la qualità della vita e limitando lo spreco delle risorse. Come debba essere la città sostenibile, quali siano gli ambienti in cui l’individuo possa sentirsi bene, vivendo in luoghi inclusivi, è il tema della conversazione della nostra socia Ivana Passamani con la prof. arch. Olivia Longo  "Entrambe ringrazio di cuore per la generosa disponibilità e la competenza professionale con cui ci hanno proposto questa serata”.

Ivana presenta Olivia Longo, collega e amica. Originaria di Messina, laureatasi a Palermo, si occupa di progettazione architettonica. Dal 1996 è coordinatrice di programmi di ricerca e di mostre, docente di summer e winter school. Dal 2010 è docente di architettura e composizione architettonica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Brescia. Nel 2019 diventa professore associato. Ivana mette in risalto la "forza del personaggio”, instancabile lavoratrice, compagna e mamma.

Ivana affronta quindi il tema. “La città è di tutti? La domanda è una voluta provocazione, perché la città non è di tutti. Potrebbe esserlo se..., se si facessero determinate cose e se, nella programmazione, gestione e manutenzione di una città, si tenesse conto di alcune parole chiave: spazio urbano, microarchitetture, disabilità e salute”.

Olivia è dello stesso avviso: la città non è di tutti. Anche se le amministrazioni si sono adeguate alla normativa con l’abbattimento delle barriere architettoniche, resta ancora molto da fare in relazione ai vari livelli di disabilità della popolazione.
Una recente ricerca condotta su questa problematica dalla facoltà di Ingegneria di Brescia ha elaborato e progettato delle “microarchitetture", elementi architettonici di piccole dimensioni, di materiali leggeri o riciclati, di buon design e di esecuzione artigianale, che hanno le caratteristiche per soddisfare le esigenze di tutta la popolazione, dal turista al disabile, dal bambino all’anziano.

Ivana precisa che le microarchitetture non sempre sono piccole, spesso sono anche complesse, ma sempre sono fatte in modo da non essere di intralcio al cittadino, anzi di diventare motivo di abbellimento del paesaggio urbano e di non frapporre ostacoli.

Olivia presenta esempi realizzati in Paesi stranieri, ma osserva che anche da noi si è formata una certa sensibilità su questo tema. La Regione Lombardia ha recentemente finanziato un progetto innovativo, vincitore di un concorso, redatto proprio dalle nostre relatrici (complimenti!), relativo a tre stazioni della metropolitana, che sarà conosciuto con l’acronimo Mo.So.Re. Le microarchitetture hanno tre caratteristiche: sono sostenibili, flessibili/resilienti, aggiornabili/reversibili; non sono prodotti industriali o seriali, ma pezzi unici, legati alla natura e alla storia del sito in cui si pongono; non sono fissi né stabili e tanto meno sono autocelebrativi; sono fatti per il pubblico che ne è l’utente, in materiali naturali; destinati a essere abitati e vissuti, derivano dall’idea di funzione temporanea svolta da chioschi, stand e padiglioni nelle manifestazioni fieristiche, da cui in un certo senso derivano. In questa prospettiva l’architetto che li progetta non si pone come l’artista, protagonista dell’opera geniale, cosa che avveniva in passato, ma come un tecnico/esperto al servizio della società.
Ivana e Olivia affrontano quindi il tema della città non solo funzionale per tutti, ma anche sostenibile ed inclusiva per i portatori di disabilità a vari livelli e di vario genere e portano esempi virtuosi di percorsi per anziani e soluzioni adatte ai non vedenti.

Tutta questa stimolante conversazione è ben illustrata da una serie di slide.

Interviene a questo punto l’ing. Aldo Coen, fondatore cinque anni fa dell’associazione “Io amo Brescia perché”: nata per sollecitare il cittadino bresciano a guardare la propria città con occhi diversi, essa si è anche occupata di sensibilità ambientale, di percorsi per disabili, di città agibile per tutti, spesso in collaborazione con la Amministrazione e l’Università, promuovendo anche concorsi di architettura, come l’"Arco della MiIleMiglia”.

Seguono alcuni interventi.

Francesca Pangrazio domanda se ci sono esempi di microarchitetture giapponesi, visto che in Giappone la popolazione invecchia tanto quanto in Italia e poi tocca il punto cruciale dei costi e dei finanziamenti.
Angela Cannizzaro, cresciuta a Reggio Calabria e da tempo residente a Salò, elogia i centri urbani di medie dimensioni ed auspica un ritorno dei centri storici vissuti ed animati, in contrapposizione agli anonimi e diffusissimi centri commerciali. L’architetto Stefano D’Acquino domanda qual è l’atteggiamento della Sovrintendenza alle Belle Arti nei confronti delle microarchitetture.

A tutti risponde Olivia.

Il Giappone offre interessanti esempi a proposito, visti anche i modelli e i materiali tipici del loro modo di abitare e costruire. I finanziamenti per le buone cause si trovano e i costi si abbassano con l’uso di materiali poveri o riciclati. È vero: le Sovrintendenze a volte bloccano.

Eleonora conclude. “La città dunque deve essere funzionale, sicura e sostenibile, ma anche bella: è una questione sociale e politica, che crea relazione.
C’è uno stretto legame fra bellezza e potere, specialmente quando la bellezza si esprime nell’organizzazione dello spazio urbano, in cui si vive e si lavora.  Da sempre chi governa cerca di mettere l’architettura urbana sotto il proprio controllo, affinché riproduca negli spazi le gerarchie e l’idea di cui desidera perpetuare la rappresentazione. Pensiamo ad esempio agli Egizi, ai Greci, ai Romani. A Brescia pensiamo agli edifici di Piazza Vittoria che è stata edificata negli anni Trenta in stile monumentale fascista.
Chi progetta spazi progetta comportamenti, e se si desiderano dalla popolazione determinati coportamenti, è dalla capacità intrinseca e performante degli spazi urbani che si deve partire.

Qual è lo spazio urbano che meglio parla di democrazia? Chi nasce nella bellezza crescerà convito di meritarsi un mondo bello e sarà difficile persuaderlo ad accontentarsi del contrario. Chi nasce in una città ben studiata e strutturata come la smart city, con servizi sostenibili e inclusivi con servizi adeguati e inclusivi per ogni categoria di utenti, dai normodotati ai disabili, dagli immigrati agli utenti deboli, sarà la città di tutti e per tutti, la città veramente democratica.”

Da parte nostra complimenti alla prof. Olivia Longo per la sua esposizione chiara ed accattivante di argomenti non banali e non scontati. Un grazie particolare a Ivana, che ci ha permesso di considerare la città da altri punti di vista e ci ha fatto immaginare una nuova diversa città ideale.

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