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Le socie scrivono: Vivi Gioi

Un mito livornese

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  • Club: Livorno
  • Autore: Maria Emanuela Bacci di Capaci
  • Ultima modifica: Aprile 2022

Oggi pubblichiamo, con un po' di ritardo, l'ultimo profilo di donna all'interno del progetto "28 marzo e ..dintorni 2022". 

Vivi Gioi, un mito livornese raccontato dalla socia Carla Dente.

Quando ero ragazzina, e sto parlando di molti anni fa, una figura ammantata di fascino e mistero ha suscitato il mio interesse, si tratta di Vivi Gioi, quella cugina/zia di due simpatici ragazzi che giocavano nel giardino della villa dei vicini che io vedevo dal terrazzo di casa mia, sul Viale Italia, e di cui mi parlava Giovanna De Cori, proprietaria del giardino confinante.  Vivi Gioi, ovvero Vivienne Trumpy, faceva parte del mondo per me favoloso del cinema, ma all'epoca molto lontano perché persino anteriore alla mia nascita. Quando ho cominciato ad occuparmi di teatro, ancorché inglese, l'interesse di questa figura ha cambiato aspetto. 

Di lei è notevole la famiglia di origine, i Trumpy, un nome che in città era legato alle attività del porto di Livorno dalle cui fortune la prosperità della città dipende da sempre. L'origine lontana della famiglia è svizzera (von Schwanden), probabilmente dell'Oberland bernese, con un successivo spostamento verso il Nord quando i Trumpy hanno fissato la loro residenza a Bergen, in Norvegia. I legami con la Norvegia non si sono mai interrotti, valorizzati dalla attività di famiglia che è tradizionalmente stata quella di Agenti marittimi in Italia, e dal fatto che personaggi di rami diversi della famiglia hanno avuto ruoli di Consoli norvegesi a Genova e a Livorno. Anche l'ingegneria ha avuto un ruolo importante nell'orizzonte lavorativo della famiglia con la collaborazione che Rodolfo Trumpy ha offerto a Guglielmo Marconi per lo sviluppo della telegrafia senza fili e non solo. 

Quanto a Vivi Gioi, probabilmente il suo momento di maggiore notorietà è stato quello del cinema del periodo fascista, dagli anni '30 al periodo della guerra, in cui la sua algida bellezza nordica sfavillava nella costruzione di storie dalle ambientazioni borghesi, di cui i "telefoni bianchi" erano simbolo di benessere sociale. Il modello delle storie era unico: ragazze intraprendenti di origini umili che affascinavano uomini con ruolo sociale più elevato, storie che permettevano un gioco brillante sui meccanismi dell'equivoco cari alla farsa del periodo precedente ma destinati inevitabilmente a perdere di interesse con la guerra, che spingeva per un realismo più potente ed una comicità di impronta diversa. La società italiana di allora, prima e immediatamente dopo la guerra, era in realtà povera, culturalmente arretrata per un analfabetismo dilagante, oppressa dall'atmosfera cupa che la situazione socio-politica della nazione imponeva alla vigilia della guerra. 

Sotto il profilo sentimentale, Vittorio De Sica è stato un grande amore di Vivi Gioi che in vari suoi film recitava con successo in ruoli minori, assumendo per un certo tempo un nome d'arte che era l'anagramma del suo cognome. In ruoli da non - protagonista ha vinto anche il suo Nastro d'argento, nel 1948, per il film Caccia tragica di De Santis con Massimo Girotti sullo sminamento postbellico di terreni agricoli, un film di diverso tenore da quelli che l'avevano resa famosa anteguerra. 

Ma la parte più impegnativa della carriera artistica di Vivi Gioi è rappresentata, secondo me, dal teatro, e questo aggiunge al personaggio un tratto di carattere non secondario. Quando era in tournée con i suoi spettacoli trovava persino il modo di tornare a Livorno dalla famiglia, magari portando con sé qualche compagno di lavoro. Vivi ha fatto parte di compagnie teatrali importanti, quella di De Sica, della Morelli-Stoppa, quella fondata da lei con Aroldo Tieri e Carlo Ninchi, e poi quella che mise su con Enrico Maria Salerno e Luigi Cimara, ed altre. Ha recitato, per esempio, nel dramma di Sartre A porte chiuse con la regia di Mario Chiari, dramma sostanzialmente a tre personaggi che vivono in un luogo claustrofobico con un effetto di segregazione che contribuisce alla costruzione di relazioni interpersonali drammatiche. Vivi Gioi ha lavorato anche con Luchino Visconti nel 1949 in Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, con la scenografia di Zeffirelli, dove interpreta la parte di Stella, la moglie del protagonista che subisce angherie, mentre Marcello Mastroianni è l'altro personaggio necessario ma sempre in secondo piano. Una storia a tinte forti in cui si contrappongono un universo femminile, disegnato da giri di parole, espressioni in francese, una delivery contenuta e composta, e uno maschile rappresentato da un personaggio rude, poco istruito, violento con la moglie. Credo che l'esperienza teatrale di Vivi Gioi dia la cifra della sua maturazione di attrice e di donna che solo una esperienza di vita e il teatro sanno dare. 

Un ultimo aspetto di lei mi preme sottolineare: il suo attaccamento a Livorno, la città in cui era nata il 2 di gennaio del 1914, che, nel contesto di una famiglia 'transnazionale' come la sua, impegnata in diversi settori, da quello marittimo, a quello artistico, al campo scientifico, l'ha portata a voler essere sepolta nella sua città, vicino a tutti i suoi

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